Retrospettive
Pordenone Docs FestITALIAN DOC, FUTURE!
Da quest’anno il festival presenta la nuova sezione Italian Doc, Future! dedicata a film di registe e registi italiani selezionati per la loro originalità. Opere che, distribuite nel corso dell’anno, sono degne di un cammino più lungo nelle sale.
A qualche tempo dalla loro prima proiezione, la sezione Italian Doc, Future! ripropone questi film per “r-innovare” l’attenzione degli spettatori e del mondo Industry, dagli esercenti agli altri addetti della filiera (festival programmer, broadcaster, distributori…) in folta delegazione sempre presenti a Pordenone.
Ogni film è introdotto dall’autrice o autore, in tandem con una o un regista di assoluta qualità, capace di percorsi produttivi e distributivi originali. La conclusione è affidata a un dinamico Q&A: un dittico, un confronto, un dialogo fresco e rivolto al futuro.
Italian Doc, Future! valorizza i film che il festival ha scelto e apprezzato per aumentarne la visibilità mediatica e costruire nuovi percorsi a venire.
CORPO DEI GIORNI
Santabelva, 2022, 96'TARA
Francesca Bertin, Volker Sattel, 2022, 86'IL POSTO
Mattia Colombo, Gianluca Matarrese, 2022, 75'DONNE CON LA MACCHINA DA PRESA
Un programma curato da Federico Rossin per Pordenone Docs Fest 2023
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Quali sono i film che hanno con più forza documentato lo sviluppo del pensiero, delle azioni, e della storia del movimento femminista italiano? Quale estetica e quale politica erano in gioco per le giovani militanti post ’68 e le tante donne con la macchina da presa, gioiosamente attive nella grande rivoluzione del femminismo in Italia? Come si sono articolate le forme del cinema del reale con le esigenze della propaganda, le idee della teoria con i bisogni materiali della prassi filmica? A quali film le giovani militanti femministe di oggi possono guardare con rispetto e fierezza, riconoscendovi i fondamentali primi passi di una battaglia culturale ancora aperta e in fieri?
Il cinema documentario che ha accompagnato il femminismo italiano durante il decennio-chiave degli anni 70 e i primi anni 80, è stato – quando lo si studia oggi con gli occhi dello storico e dell’archivista – forse il meno ideologico e sicuramente il meno teorico fra quelli occidentali. Nei paesi anglosassoni il documentario classico viene tacciato dalle teoriche del female gaze di propagandare un falso realismo che maschera la verità del reale e non si cura di decostruire lo sguardo di chi sta dietro la macchina da presa e ne è il padrone ideologico. In Italia le finezze estetico-politiche della Feminist Film Theory arriveranno quasi subito in alcuni libri e riviste fondamentali, in cataloghi di festival, e un po’ più tardi nelle aule universitarie, ma ben poco verrà tradotto nei risultati filmici dei collettivi e delle cineaste. E forse questo è stato davvero un bene: perché se altrove si è intellettualizzato all’estremo, frustrando fino al masochismo lo spettatore e il suo desiderio di vedere e sapere, realizzando certamente un cinema raffinatissimo ma fondamentalmente per poche e quindi sostanzialmente di classe, in Italia si è badato più al contenuto, al messaggio, e ci si è sovente sporcate le mani con i mezzi della propaganda, del pamphlet filmico, della televisione d’intervento, del cinema militante. Delle registe donne facevano film per tutte le donne per cambiare la vita e la società, usando tutte le armi che il cinema a basso costo poteva loro garantire.
Se certamente e a malincuore non possiamo dire di aver mai avuto in Italia una Chantal Akerman, una Helke Sander o una Věra Chytilová (e ahimè non lo sono state né Sofia Scandurra né Elda Tattoli, pur meritevoli di uscire oggi dall’ombra dell’oblio), possiamo però essere assai felici di aver avuto Annabella Miscuglio che ha affiancato ai brillanti formalismi dei suoi film sperimentali la scelta di buttarsi nell’agone democratico dei mass-media e del film-saggio militante (con le sue compagne del Collettivo femminista cinema di Roma), o le pioniere della televisione pubblica (Liliana Cavani, Maricla Boggio, Tilde Capomazza, Loredana Rotondo, Paola Faloja), o Dacia Maraini con i suoi film a cavallo tra simbolismo e inchiesta militante, o Adriana Monti che ha saputo reinventare la creazione collettiva coniugandola con un reale e non astrattamente teorico processo di emancipazione, o Rosalia Polizzi che ha raccontato con forza e impegno le lotte e le conquiste delle donne, o ancora Isabella Bruno che da giovanissima filmmaker con la super 8 ha decostruito con grazia artigianale le colonne portanti del patriarcato italico. È a loro, e a tante altre donne del cinema documentario femminista italiano che sono venute dopo di loro e di cui sono le eredi (Alina Marazzi su tutte), cui vogliamo rendere omaggio con questa retrospettiva e questa filmografia critica – che non si vuole esaustiva e accademica, ma utile strumento di ricerca – mostrando e segnalando opere che per tanti anni sono rimaste sepolte negli archivi e che, solo negli ultimi anni e grazie a storiche e curatrici appassionate come Annamaria Licciardello (cui dobbiamo moltissimo, e senz’altro l’idea e il corpus maggiore di questo evento), oggi possiamo finalmente tornare a vedere o rivedere. Una boccata d’aria fresca per tutte e tutti!